Un Blog per proporre alcuni tra gli articoli che considero più belli tra quelli che ho scritto finora, sperando di onorare il lavoro del Giornalista che informa, intrattiene, suscita dibattito e opinioni. B.L.

lunedì 25 ottobre 2010

Laurearsi e arrangiarsi (Bruna Larosa)

Il ‘posto fisso’ inteso come modello di impiego tanto vicino e caro ai nostri stessi genitori è arrivato ai suoi ultimi anni. La situazione in Italia è, infatti, molto cambiata tanto che il contratto a tempo indeterminato si è trasformato in un mito e un miraggio. Sono numerose le teorie che si avvicendano sulla compianta scomparsa del posto fisso, di base c’è la crisi economica, ma a questa si accostano le voci di chi addita il lassismo di alcuni impiegati che non avendo onorato il loro lavoro hanno fatto preferire in termini di risultati la flessibilità e la mobilità. Il modello economico cui siamo abituati è ormai scomparso ed è assolutamente impensabile un ritorno allo stesso: troppi cambiamenti sono intercorsi, cambiamenti che riguardano soprattutto la mentalità imprenditoriale. Tale modifica avrebbe dovuto investire anche il mondo della formazione, ma di fatto non è stato così. Principalmente al Sud ci sono schiere di laureati che non trovano lavoro e per mantenersi si adattano a mettere da parte il proprio titolo e a darsi da fare per ciò che c’è. I principi dell’economia distinguono giustamente diversi tipi di disoccupazione, generalmente siamo abituati a sentir parlare di disoccupati ‘volontari’ e di quelli ‘involontari’; i primi sono coloro che decidono di non impiegarsi in un ambito lavorativo perché non lo riconoscono come proprio e ‘aspettano’ di meglio, gli altri sono coloro che vorrebbero lavorare ma non trovano. Nonostante la fisiologica ciclicità ‘crisi/ripresa’ ci troviamo oggi nel bel mezzo di uno stato latente di disoccupazione involontaria in Calabria come nel resto d’Italia. Appena una decina di anni fa avere un titolo di studio quale la laurea poteva significare fare la differenza rispetto ad altri aspiranti ad un posto o ad un concorso, oggi è invece palese che la massificazione dell’istruzione superiore non cammini di pari passo con le possibilità di assorbimento del mercato. I pochi concorsi indetti dalle amministrazioni sono assediati da numerosissimi aspiranti e ogni altra opportunità è costellata di incertezze. Così, laureati e beffati, dopo tanti studi i ragazzi sono costretti a fare i conti con il lavoro che non c’è, e che quando c’è non risponde alle aspettative che avevano costruito. L’opinione pubblica, complice la riforma universitaria Moratti, ha svalutato il titolo di studio a favore talvolta della praticità; accade che i laureati si vedano scavallare da persone magari con titolo di studio inferiore ma con esperienza, oppure da chi ‘vanta’ una laurea quadriennale. Abbiamo parlato di questo con Donatella Molino, giovane dottoressa che da quando ha conseguito il titolo non ha fatto altro che guardarsi intorno e cercare delle opportunità di lavoro.

Da quanto tempo si è laureata e in quale disciplina?
Mi sono laureata da tre mesi, il corso di studi prima triennale e poi specialistico mi ha portato a conoscere diversi meccanismi dell’economia e dello sviluppo. In particolare mi sono preparata ad affrontare problematiche nel campo della cooperazione e dello sviluppo dal punto di vista diplomatico.

Dal punto di vista professionale a cosa si è dedicata in questo periodo di tempo?
Ho mandato CV e domandine nella mia provincia, Cosenza e anche fuori regione, ma la situazione è drammatica in tutta Italia! Lo deduco dal fatto che su tantissime proposte che ho avanzato neppure un’azienda o un ente mi ha dato risposta! Mi sono informata e ho visto che è all’Estero che avrei maggiori possibilità di far valere i miei studi e il mio titolo, ma sarà sicuramente necessaria un’ottima preparazione in lingua straniera. Intanto, in attesa di una migliore sistemazione occupazionale sto lavorando in uno dei tanti call-center presenti a Rende.

Lei è dottoressa, i suoi colleghi di call-center che titolo di studio hanno?
I miei colleghi sono quasi tutti laureati, siamo lì nell'attesa di un lavoro inerente a ciò che abbiamo studiato e, intanto, ci sosteniamo economicamente con un impiego che poco e niente ha a che vedere con gli studi fatti.

Quando si intraprendono degli studi in un certo senso si insegue un sogno, lei e i suoi colleghi che considerazioni fate a proposito della diffusa situazione economico lavorativa?
Tra noi nei momenti di pausa riflettiamo spesso su come sia dura da digerire l’aver fatto tanti sacrifici per conseguire il titolo e poi ritrovarsi a fare un lavoro che speriamo ci servirà solo da tampone e per poco tempo. Mi rendo conto di quanto sia ‘triste’ dover parlare così, quando molte persone fanno la fila anche solo per un posto come il nostro, ma non si tratta assolutamente di ingratitudine, bensì voglia di realizzarsi per ciò che si desidera. Personalmente per come è il mondo del lavoro so che devo ritenermi fortunata ad avere almeno questo impiego, eppure è costante l’idea di poter avere qualcosa di più inerente alla preparazione che ho e agli studi che ho fatto!



Pubblicato sul n. 42 di MezzoEuro in edicola dal 23 ottobre 2010

lunedì 18 ottobre 2010

La 'ndrangheta ritornerà più forte di prima (Bruna Larosa)

Solo un incantesimo della Fata Morgana potrebbe forse ricomporre il complicato mosaico di poteri leciti e illeciti che influenzano la vita della popolazione che abita la punta d’Italia. Nella realtà però le favole non esistono e i giorni dei reggini sono costellati di paura, per ciò che potrebbe accadere e la consapevolezza che così non si può continuare. L’insistenza degli ultimi avvertimenti ai danni di coloro che lavorano contro la mafia, e la loro durezza non lasciano indifferente nessuno e l’opinione pubblica calabrese, ma non solo, vuole sia fatta chiarezza ponendo delle domande cui ci si aspettano precise risposte. Il problema delle intimidazioni, tuttavia, non è una novità, sebbene ultimamente si manifesti in maniera più viva e palese, come da alcuni anni non succedeva. La cittadinanza di Reggio Calabria, poi, ne ha una percezione certamente amplificata rispetto a quella che può essere trasmessa mediante le notizie scandite dai media. Se gli avvertimenti mafiosi lasciano tristemente interdetti si rimane assolutamente perplessi davanti a ciò che si è pensato per fronteggiare tale problema: l’invio dell’esercito a presidio delle zone sensibili. La popolazione del reggino si divide davanti a tale possibilità e sebbene il problema sia avvertito considerevolmente da tutti, aleggia per l’area metropolitana una certa diffidenza ed estraneità nei confronti del provvedimento che è stato presentato per limitare e, magari, sconfiggere il problema della criminalità organizzata.


Abbiamo incrociato i cittadini del reggino e della città metropolitana interrompendo anche se solo per un attimo la loro corsa per chiedere di condividere con noi la loro opinione su questo espediente che tanto fa discutere. Molti, invero, preferiscono non pronunciarsi, altri affermano la forza della ‘ndrangheta e l’inutilità di questa soluzione per gestire una situazione tesa e difficile, poi c’è chi invoca più sicurezza e chi è rassegnato alla situazione attuale, ricordando, probabilmente tempi peggiori.


‘Questo provvedimento non serve a nulla, afferma Francesca Cavallo, perché la mafia, di certo, non si farà intimorire dall'esercito. La ‘ndrangheta è sempre esistita ed esisterà sempre: questa è la realtà ed è inutile pensare che l'unione fa la forza o altro perché dobbiamo vedere in faccia la realtà e capire che parliamo di una vera e propria istituzione che non verrà mai a cadere!’. La ‘ndrangheta si presenta, quindi come la Forza per eccellenza, quasi fosse una ‘reale’ istituzione, convinzione che rinsalda le sue stesse basi e idea che purtroppo è ben radicata sul territorio. Anche altre persone si dimostrano dubbiose circa la bontà del provvedimento e propongono soluzioni alternative, ‘Non sono convinto dell'utilità dell’esercito a Reggio, dice Antonio Caristo, quello che è nato lungo anni di indifferenza e accondiscendenza non può essere risolto in pochi giorni con l'arrivo di contingenti militari. Questa decisione, inoltre, comporterà dei costi non indifferenti, soldi che sarebbe più opportuno destinare all'istruzione e ai ricercatori in modo da agevolare la ripresa delle lezioni e cercare di migliorare la situazione di caos in cui verte l’università’. Stefania Lombardo replica alla nostra domanda asserendo che a suo avviso ‘l’eventuale arrivo dell’esercito a Reggio Calabria probabilmente non risolverà niente e servirà solo da propaganda politica. Non è stato neanche specificato per quanto tempo sarà presente, magari per un breve periodo, il tempo necessario perché la piovra torni nella tana per studiare come rafforzarsi! A Reggio non serve l'esercito, ma persone come i magistrati e le forze dell'ordine disposte a lavorare anche sotto copertura per scovare cosa e chi c'è dietro a  tutto questo marciume, pur correndo il rischio di smascherare dei corrotti eccellenti, siano magistrati, politici, o agenti. Una misura necessaria, continua la ragazza, sarebbe quella di rafforzare il sistema di sicurezza dei magistrati che lottano contro le ‘ndrine. È un dato di fatto che la loro sicurezza sia precaria, sarebbero anche da aumentare gli stipendi di queste persone che ogni giorno, per amore verso lo Stato, mettono in pericolo la propria vita. Inoltre è vero che le intimidazioni sono fatte a Reggio Calabria, ma la situazione non è certo più mite in altre zone della regione, penso subito alla Locride, a questo punto perché inviare l’esercito solo nella città? Insomma credo sia riduttivo che il governo pensi sia sufficiente l'esercito a sconfiggere la mafia, dovrebbe, invece, concentrarsi su forze di sicurezza da gestire in maniera intelligente’. Giuseppe Falleti ascolta interessato la nostra domanda e poi si unisce al coro di coloro che ritengono tale provvedimento inutile, anzi, forse addirittura controproducente: ‘Credo che l'invio dell'esercito potrà servire solo e semplicemente a inasprire la situazione già tesa e difficile. La ‘ndrangheta è caratterizzata da vincoli familiari che legano le diverse famiglie per questo motivo è difficile che i nodi saltino: oltre ad un legame di interessi è vivo il legame di sangue. È vero che le famiglie possono avere degli screzi, ma è anche vero che potranno organizzarsi tra loro con una certa facilità e fare scudo unite contro lo Stato’. Incrociamo anche Chiara Placanica che, al contrario degli altri, si rivela favorevole al provvedimento che viene proposto. Convinta ci risponde che ‘ritengo che sia necessario l’invio dell’esercito a Reggio Calabria così si ha la possibilità di controllare più attentamente io territorio, specialmente i posti dove risiedono gli uffici giudiziari e in particolar modo l’area in cui hanno sede gli spazi della procura. Indubbiamente è un modo per scoraggiare o quanto meno provare a contenere le azioni intimidatorie nei confronti dei magistrati’.

Uniti contro la ‘ndrangheta, i reggini continuano le loro giornate fatte di piccole sfide quotidiane, divisi tra le bellezze della loro città e ciò che solo alcune persone tramano nell’ombra.

Pubblicato sul n. 41 di MezzoEuro in edicola dal 16 ottobre 2010

lunedì 11 ottobre 2010

Strani intrecci tra cultura e potere (Bruna Larosa)

Tutti si dicono sensibili allo stato della ricerca, alla ‘salute’ dell’università pubblica e nei momenti di maggior subbuglio se ne sono visti di professori farsi avanti e disporsi in prima linea contro il governo e i suoi drastici tagli dalla parte dei giovani e del futuro. Talmente convinti della bontà di ciò che facevano da non lasciare dubbi agli studenti: si è tutti uniti per un futuro migliore! Come moderni Napoleone hanno persuaso molti di avere a cuore gli interessi di chi lotta, tanto che viene da chiedersi: dunque quali sono i baroni?


Eppure chi frequenta i lunghi corridoi dei dipartimenti fasciati di luci e ombre non ha dubbi, il potere accademico e non il valore scientifico regnano sovrani, nonostante tutto. Così, mentre il sistema universitario subisce tagli e modifiche, il nocciolo duro dei suoi problemi sembra rimanere
nell’ombra. Quando si parla con ex dottorandi di questa o quella facoltà, ad esempio, emergono aspetti a dir poco inquietanti, sui quali regna l’assoluto e paradossale silenzio. È ormai una consuetudine dire che l’università sia in mano ai baroni, ma quanto ciò pesi realmente sul futuro, sulla formazione e
sulla ricerca lo si comprende solo analizzando il fenomeno ‘sommerso’ della sete di potere accademico. In fondo tutti gli ambienti chiusi seppur pubblici presentano dei loro vizi privati, va da sé che nel regno accademico non siano la ricerca e la cultura il fine ultimo, ma il semplice mezzo tramite cui pervenire a un maggior prestigio.


Può capitare, così, che un docente inviti un ragazzo alla fine dei suoi studi, a provare il dottorato, probabilmente lo studente è in gamba, ma capita pure che sia semplicemente capitato al posto
giusto nel momento giusto e, quindi, a sua insaputa venga usato come una pedina all’interno dei giochi di potere accademici. Riuscire ad affermarsi come professore agli occhi dei colleghi nella propria università e negli altri istituti accademici passa anche da qui: dalla capacità di imporsi e di far
emergere i ‘propri’ studenti, non necessariamente perché più bravi, semplicemente più utili in quel momento e in quel preciso contesto. Il ragazzo, forse ignaro, forse complice, si presta così ad un gioco che nella maggior parte dei casi lo porta a vincere il concorso di dottorato alle prime posizioni, riuscendo a percepire addirittura la borsa di studio prevista per i più meritevoli, mentre chi è realmente interessato a svolgere il triennio di studi dottorali scivola alle posizioni più basse o, addirittura, fuori dalla graduatoria utile per portare avanti la propria ricerca. Nessuno ammette apertamente questo meccanismo perverso, eppure non sono certo voci di corridoio quelle che descrivono questa sfaccettatura del volto torbido delle università.


Riuscire a far entrare un proprio studente corrisponde al riconoscimento del prestigio del docente da parte dei colleghi e si trasforma in un tassello essenziale nell’affermazione del proprio rilievo in ambiente accademico. Essere un dottorando dovrebbe voler dire offrire il proprio lavoro alla ricerca,
migliorare e testare la propria tecnica e la propria volontà di proseguire un percorso in un tale contesto. Invece, coloro, che hanno realmente talento per la ricerca solo di rado riescono a mettersi in luce. Far vincere un concorso di dottorato è solo ciò che di più manifesto si riesce a percepire dall’esterno,
così come accade per gli iceberg, ciò che sta sotto, e quindi non si vede, è ancora più pericoloso. Sedotti intellettualmente dal professore i neo dottorandi cominciano a studiare, a sviluppare idee e vengono appoggiati anche nelle proposte più stravaganti, cominciano, ad esempio, i viaggi in ogni dove,
ovviamente a spese del dipartimento cui si afferisce, sia per raggiungere biblioteche estere che università o anche per partecipare a seminari di approfondimento. L’idillio può durare un giorno o più, ma è assolutamente raro che superi i tre anni. Quando si viene abbandonati nel bel mezzo delle attività
l’esperienza di ricerca diviene difficile se non impossibile, ci si arma di tenacia e si cerca di portare avanti in maniera dignitosa il proprio lavoro senza più nessuno aiuto. Pochissimi gettano la spugna e si va avanti alla meno peggio, pur cominciandosi a chiedere ‘dove si è sbagliato, cosa sia successo,
perché le cose sono cambiate’. Il senso di avvilimento e la frustrazione sono forti, ma nulla è paragonabile a cosa precipita sulle spalle dei malcapitati quando vengono abbandonati alla vigilia della discussione o immediatamente dopo.


Compiuti tre anni di studio intensi, conditi di viaggi e di opportunità arriva il momento in cui il maestro ‘scarica’ l’allievo: ‘Non c’è spazio nel mondo della ricerca, non hai saputo sfruttare al meglio questa occasione’, quanti errori si leggono allora nel proprio percorso, strano però che il professore, che tanto sembrava preoccuparsi per l’avvenire del suo protetto, non lo abbia messo in guardia prima! Verità vuole che il tutto si collochi perfettamente nel gioco di ruolo e potere che c’è dietro il bisogno di
affermazione personale che supera di buona misura l’amore per la conoscenza e il sapere. Andando a tirare le somme questo gioco penalizza chi è realmente portato per gli studi accademici, scavalcato da coloro che si adeguano più o meno inconsciamente alle regole sommerse e provocano, inconsciamente, una perdita incalcolabile per la ricerca. Quelli che i conti possono e devono farli sono, invece, i dipartimenti che finanziano la formazione di ragazzi che in realtà non hanno alcuna possibilità di entrare nel mondo accademico! In definitiva gli unici che terminano il bilancio senza passivo sono ancora una
volta i baroni per i quali è diventato più importante il prestigio accademico piuttosto che un ruolo di rilievo nel mondo scientifico.

venerdì 8 ottobre 2010

Studenti senza lussi (Bruna Larosa)

Che sia idillio o tormento il lavoro fa parte della vita di ognuno di noi:
anche la scelta di iscriversi all’Università è legata dalla speranza di crearsi
una prospettiva lavorativa migliore. In un momento in cui l’occupazione
languisce, però, c’è una fetta della popolazione che si districa tra contratti
a termine e a progetto. Sono gli studenti universitari che, complice la crisi,
per ammortizzare le spese delle famiglie o per continuare ad aiutarle nelle
loro attività, accostano agli studi un lavoro. Spesso ci si occupa di impieghi
ben diversi da quelli che si sognano e tutta la differenza tra le teorie e la
pratica vengono alla luce provocando disillusione e, talvolta, amarezza. Ma
cosa significa lavorare e studiare? Ne abbiamo parlato con Francesca Andreani e
Francesco Alessio, la prima continua ad aiutare nell’attività di famiglia, il
secondo, ha proprio cercato lavoro a Cosenza dove sta portando avanti i suoi
studi.

Cosa significa accostare all’attività di studio una lavorativa?
Francesca Lavorare e studiare può sembrare semplice, ma presuppone grossi
sacrifici e, allo stesso tempo ti aiuta a crescere e a responsabilizzarti.
Ovviamente c’è la consapevolezza che si debbono fare molte rinunce, ma è
bellissima la sensazione di riuscire bene in entrambe le cose.
Francesco Lavorare e studiare comporta un duplice impegno e una costante
organizzazione: bisogna far fronte a due realtà, per così dire, complementari e
contrapposte. Generalmente si pensa che il lavoro sia qualcosa ‘a parte’
rispetto lo studio, invece dato che il lavoro dello studente è studiare
probabilmente sarebbe più corretto pensare che quando si accosta all’Università
un impiego si fanno ben due lavori!!

Ci sono dei motivi specifici per cui avete deciso di fare questa scelta?
Francesca La mia è stata una scelta naturale: ho sempre aiutato i miei nell’
attività di famiglia e non ho certo pensato di lasciar perdere una volta
iscritta all’università!
Francesco Ho deciso di accostare studio e lavoro sia per motivi economici, sia
per cimentarmi in un’esperienza lavorativa che, oggi come oggi, sembra contare
anche più dei titoli posseduti! Ho seguito la saggezza popolare e mi son detto:
‘impara l'arte e mettila da parte’!

Portare avanti questi due impegni, spesso non complementari, vi ha impedito di
avere la caratteristica spensieratezza degli universitari?
Francesca Sicuramente non mi ha impedito di stringere tante nuove amicizie
quanto, invece, non mi dà l’opportunità di avere la spensieratezza di una
‘semplice’ studentessa.
Francesco Si! Lavorare e studiare occupa gran parte della giornata e, anche
quando si ha un giorno libero, lo si dedica allo studio per recuperare il tempo
impiegato sul lavoro!

Ci sono studenti che si occupano solo dell’Università ed altri, come voi, che
portano avanti un lavoro che spesso differisce da ciò che si studia e da ciò
che si desidera per il futuro. Credete che i ragazzi non impegnati sul lavoro
abbiano una marcia in più all’Università rispetto a chi deve dividersi tra
studio e impiego?
Francesca Effettivamente ci sono dei momenti più duri, spesso quando preparo gli
esami penso che da ‘semplice’ studentessa sarei facilitata. Credo, però, che
quando si ha in mente un obiettivo e si desidera davvero raggiungere dei
risultati la concentrazione e la costanza siano al massimo sia per chi ha
impegni lavorativi che per gli studenti.
Francesco Purtroppo, quando si lavora, anche impegnandosi molto, ci si trova
sempre un po’ svantaggiati: non si ha mai il tempo per approfondire o per
ripetere una volta di più. Penso, quindi, che le persone che si dedichino
interamente allo studio abbiano una marcia in più e possano fare davvero tanto.


Pubblicato su MezzoEuro n.39  in edicola dal 2 ottobre 2010

domenica 3 ottobre 2010

Bellezze da gustare (Bruna Larosa)

Nel Parco del Pollino, tra natura, paesaggi e cultura si fa spazio anche un progetto di agricoltura ecocompatibile a sostegno del territorio

Il fiume Lao scorre frizzante e cristallino mentre il profumo intenso del sottobosco e i giochi di luce ed ombra tra gli aghi di pino offrono scenari quasi fiabeschi. Il Parco Nazionale del Pollino racchiude uno dei territori più suggestivi ed interessanti d’Italia, tanto da attirare ormai da ogni parte un turismo consapevole e attento allo spettacolo della natura. È interessante sapere, però, che nel rispetto del patrimonio naturale, è possibile creare e sperimentare anche modelli di sviluppo eco-compatibili del territorio. È Luigi Gallo, del Centro di Divulgazione Agricola n. 2 dell’Arssa (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e per i Servizi in Agricoltura) di Castrovillari, che ci illustra in dettaglio le possibilità offerte dalle nuove frontiere produttive in un ambiente praticamente incontaminato. Da circa venti anni – ci informa Gallo - l’Agenzia ha investito sul territorio con i servizi di assistenza tecnica e divulgazione agricola, al fine di accostare alle colture tradizionali della zona del Parco, per lo più in asciutto, delle nuove coltivazioni irrigue, utilizzando il completamento degli impianti per l’irrigazione, realizzati dal Consorzio di bonifica integrale dei Bacini Settentrionali del Cosentino. Attualmente, l’area di nuova irrigazione, ricadente nei comuni di Mormanno, Laino Castello e Laino Borgo, raggiunge un’estensione di circa duemila ettari mentre il sistema dell’irrigazione a goccia consente un utilizzo davvero razionale dell’acqua irrigua. È da questo progetto che nascono le coltivazioni di fagiolo borlotto ceroso nano, fagiolo borlotto ceroso rampicante, fagiolo bianco ceroso rampicante, oltre a quelle di zucchino, pomodoro, ed al prezioso recupero di due colture, prima a rischio di estinzione: il fagiolo poverello bianco e la lenticchia di Mormanno. Questi tipi di colture ben si armonizzano con le nuove, particolari esigenze dei consumatori, oggi sempre più attenti ad acquistare prodotti che non abbiano subìto dei trattamenti che possono alterarne le qualità. In effetti, le caratteristiche di questi cibi incontrano il desiderio di nutrirsi in maniera sana e naturale in quanto la loro produzione, all’interno di un’area protett, fa sì che siano genuini, poiché prodotti con il minimo o in totale assenza di prodotti chimici di sintesi, e gustosi, senza trascurare l’enfasi di provare il sapore delle bellezze del Parco! La distribuzione di tali prodotti  -continua Gallo - avviene su scala locale, all’interno del Parco stesso, nel resto della regione, soprattutto nelle località balneari più vicine al territorio del Pollino e in alcune zone della Campania. Molto interessanti, poi, le prospettive occupazionali, anche per i giovani; la coltivazione di questi ortaggi è estremamente semplice e non supera, per durata, i cinque mesi all’anno, rivelandosi una ghiotta occasione di integrazione del reddito. Se dal punto di vista sociale, l’iniziale sensibilizzazione ha portato alla nascita di alcune cooperative locali, è dal punto di vista economico che si rivela il potere e la lungimiranza del progetto. La redditività è davvero alta, perché in molti casi è lo stesso coltivatore che espleta da sé l’intero ciclo produttivo; ciò unito al basso investimento iniziale, rende i guadagni davvero soddisfacenti. Dal confronto tra questo piccolo sistema economico con quello della vicina Piana di Sibari si può evidenziare come, alcune tra le colture più diffuse della Sibaritide, cioè pesche e clementine, permettano un guadagno di circa 3000 euro/ha, mentre l’orticoltura tipica del Pollino dai 5000 ai 10000 euro/ha, delineando ancor di più l’opportunità che il Parco è in grado di offrire. Scopriamo così che accanto alle belle leggende che da sempre accompagnano l’uomo e i boschi, popolate da eroi, briganti, folletti e magie si apre lo spiraglio anche per una positiva realtà, tutta da conoscere e toccare con mano.


Pubblicato sulla rivista Klichè n° 29